Cinque giorni di trekking sulla Maiella. Un itinerario alla scoperta di eremi spettacolari con salita al Monte Amaro.
Di cosa parla questo post:
- Rupi, boschi, pietre e tratturi nel parco nazionale della Maiella.
- Alla scoperta degli eremi, luoghi di spiritualità nascosti in una natura incredibile.
- Dalla valle dell’Orfento alla vetta del Monte Amaro.
Un trekking nel Parco Nazionale della Maiella, tra la valle dell’Orfento e il Monte Amaro, è stato l’occasione per visitare un territorio molto suggestivo e alcuni eremi tra i più belli di Italia. Il parco si presenta come un territorio affascinante, percorso da canion che si insinuano lungo dorsali verdi e rocciose insieme.
Il paesaggio carsico della Maiella.
La Maiella, il secondo massiccio montuoso dell’Appennino dopo il Gran sasso, è imponente e offre un habitat selvaggio, con panorami ampi e una natura incontaminata. É Parco Naturale dal 1991 e si estende nelle province di Pescara, Chieti e L’Aquila. Il monte più alto è il Monte Amaro con 2793 metri di altitudine.
I molti sentieri percorribili nel Parco si snodano tra i luoghi di eremitaggio e di culto rupestri e sui tratturi, i vecchi percorsi della transumanza.

Camminare in questo territorio è un’esperienza suggestiva perché il panorama ci offre pianori dolci e erbosi alternati a profondi valloni e gole dove il dislivello raggiunge i 1500-2000 metri. Vi si trovano l‘orso bruno marsicano, il camoscio d’Abruzzo e l’aquila reale, e una biodiversità straordinaria.
Le formazioni rocciose sono calcaree e i fenomeni carsici hanno creato un paesaggio unico dove si alternano altipiani, prati, gole e grotte.
Ma cosa vuol dire “fenomeno carsico”? Vuol dire che l’acqua, nel corso di centinaia di migliaia di anni, ha esercitato un’attività chimica sulle rocce composte da calcare, cioè sulle rocce sedimentarie composte dal minerale calcite (come avviene anche nelle Dolomiti, nel Carso, nell’Appennino centrale, in Gargano, nelle Murge ecc.) e penetra in profondità, creando un suolo tipico. In superficie sono presenti doline, inghiottitoi, campi solcati e pozzi mentre in profondità si trovano grotte, fiumi sotterranei, sifoni (grotte sommerse da acqua). Anche per queste caratteristiche, la Maiella è da secoli un territorio ricco di storia e cultura, dimora di santi e eremiti rifugiatisi qui in preghiera e contemplazione.

Rupi, boschi, pietre e tratturi nel Parco nazionale della Maiella.
Il nostro trekking sulla Maiella parte dal borghetto di Decontra (dove lasciamo l’automobile), una frazione a 900 metri di altitudine, a circa 12 chilometri da Caramanico Terme, centro termale della Valle dell’Orfento e cuore del Parco.
Decontra è composto da gruppi di case rurali in pietra. Alcune di queste, ricavate da vecchi fienili e restaurate rispettando materiali e tecniche costruttive originali, compongono l’agriturismo Pietrantica dove pernottiamo la notte prima della partenza per il nostro trekking che prevede cinque giorni di cammino.
All’agriturismo ceniamo in compagnia, accomodati ad un lungo tavolo dove si chiacchiera con ospiti provenienti da mezza Italia. Tra le altre leccornie abruzzesi, assaggiamo un formaggio caprino fresco da oscar!
Lungo le vie della transumanza.
Pronti, via! La mattina, zaino in spalla, lasciamo Decontra e le sue pietre, in direzione dei pascoli della Maiella e incontriamo i vecchi tratturi, cioè le mulattiere e i sentieri lungo i quali i pastori portavano (e portano tuttora) le greggi a pascolare in alta quota, sopra i 1300 metri, per poi ricondurle a valle, a svernare.
La transumanza è una pratica documentata fin dall’antichità e inserita nel 2019 dall’UNESCO nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale, cioè un’attività umana preservata e tramandata di generazione in generazione (come lo è, ad esempio, la tecnica costruttiva dei muretti a secco), condivisa da culture diverse. Questo patrimonio comprende “pratiche sociali, tradizioni, riti, feste, espressioni orali, artistiche o pratiche legate alla natura e all’artigianato e gli strumenti, oggetti, manufatti e spazi culturali ed essi legati “ (Fonte: Wikipedia).

Lo spostamento stagionale delle greggi verso i pascoli ha il suo apice tra XVI e XVII secolo, quando si documentano oltre 4 milioni di capi portati dall’Abruzzo alla Puglia.
Le vie storiche della transumanza sono nuove mete per gli escursionisti, perché sono percorsi ancora lontani dai tragitti più battuti.
Sono adatti a chi non è allenato a camminare in montagna, cioè senza grandi dislivelli, ma possono essere anche molto lunghi.
Il tratturo Magno, il più lungo dei percorsi che collegavano l’Aquila e i pascoli del Gran Sasso alla Puglia, e che arriva a Foggia percorrendo i fianchi dell’appennino abruzzese e molisano per 244 km, è oggi uno straordinaria via di trekking a tappe che unisce natura, storia e archeologia.
Non a caso molte regioni portano avanti progetti di recupero di percorsi ecologici, tra cui i tratturi, per dare vita a iniziative di turismo green legate alla mobilità lenta, che coinvolgono le aree naturali e i piccoli borghi.
Le capanne di pietra.
Più recentemente la transumanza è diventata verticale, avviene cioè dalle basse quote agli altipiani montani in primavera-estate.
Per questo, per un trekking sulla Maiella lungo i tratturi, si può percorrere ad esempio il tratturo di Roccamorice, una via di transumanza verticale praticato ancora oggi dai pastori, e che va dal paese di Roccamorice al Passo Lanciano.
Qui ci sono esempi di architettura spontanea rurale come le capanne in pietra, ovvero tipiche forme di architettura agropastorale della Maiella.
Lungo il tragitto incontriamo queste antiche costruzioni in pietra a secco, a pianta circolare con copertura a cupola o coniche. Sono forme arcaiche, cariche di mistero e storia, come possono esserlo le tombe a tholos micenee rintracciate anche in Sicilia, e simili alle capanne di pietra che si trovano in Sardegna o nell’arco Alpino, per arrivare ai famosi trulli pugliesi.

Il panorama è ovunque aperto e arioso. Pare di poter abbracciare a volo d’uccello una regione intera, fino al mare. Il senso di libertà che emana da questi luoghi ci accompagna impedendoci di sentire la fatica del dislivello.
Lo sguardo si allunga sui valloni e sulle rocce che interrompono la vegetazione a mezza costa, incontra le foschie che accarezzano i pianori sulle sommità dei massicci montuosi.
Questi cammini sono da percorrere con lentezza, fatti di solitudine e silenzio.

In località “Prato della Maielletta” incontriamo il rifugio Marcello di Marco (1.747 mt), proseguiamo e raggiungiamo per la notte l’hotel Mamma rosa, un hotel molto confortevole, situato a 1640 mt in un comprensorio sciistico, con 40 camere disponibili e dove si può cenare con piatti tipici abruzzesi.
Andiamo a letto soddisfatti, abbiamo percorso circa 20 km, dislivello ca. +1200. Difficoltà EE.
Alla scoperta degli eremi, luoghi di spiritualità nascosti in una natura incredibile.
La seconda tappa del nostro trekking sulla Maiella parte dalla Maielletta e tocca gli Eremi di San Giovanni, di Santo Spirito e di San Bartolomeo fino ad arrivare in località Macchie di Coco.

Luoghi suggestivi, e il più delle volte sorprendenti per la loro architettura, gli eremi sono spesso ricavati su costoni di roccia a picco. Sono costruiti con maestria, al limite dell’impossibile, in luoghi impervi, in alta montagna o scavati nel tufo. Dove, cioè, il contesto naturale in cui si trovano li rende ancora più densi di misticismo.
Gli eremi.

In Maiella molti eremiti si ritirarono in piccoli conventi-romitorio per isolarsi in meditazione, e non di rado negli stessi luoghi nacquero monasteri e chiese rupestri, costruite con la caratteristica Pietra della Maiella. Questa è una pietra bianca, omogenea, malleabile, adatta ad essere scolpita per le decorazioni architettoniche.
I primi eremi erano grotte naturali chiuse da muri a secco. Poi diventano chiese rupestri legati alla regola francescana o benedettina o di altri ordini monastici. Non di rado si trasformano in veri e propri santuari che si ergono a strapiombo su pareti rocciose come ad esempio il Santuario del Sacro Speco a Subiaco (Roma), ovvero il famoso monastero di S. Benedetto costruito sulla grotta in cui Benedetto da Norcia visse da eremita. È chiamato, non a caso, nido di rondine.
In Abruzzo i luoghi di questo genere sono forse un centinaio, tanto che la Maiella è chiamata la Montagna degli eremiti, e diventano itinerari di storia, cultura e natura per chi visita la regione. Questo sito ne censisce 86, divisi per regione, unendo romitori e chiese rupestri.
Eremo di san Giovanni all’Orfento.

Il primo eremo che incontriamo durante il nostro trekking è l’Eremo di San Giovanni all’Orfento, che si trova sul “sentiero dello spirito” (S) del Parco Nazionale della Maiella.
Uno degli eremi più suggestivi d’Abruzzo, l’Eremo di San Giovanni è scavato nella roccia a 1227 mt di altitudine. Queste sono le coordinate: 42° 9′ 14.09″ N, 14° 4′ 50.51″ E.
Importante è che per entrare nell’area dell’eremo è necessario richiedere l’autorizzazione gratuita presso il Centro Visite di Caramanico Terme.
In questo eremo vi dimorò Pietro da Morrone, futuro Papa Celestino V eletto nel 1294. Fu il papa che Dante mise tra gli ignavi dell’Antinferno perché abdicò a soli quattro mesi dall’incoronazione a pontefice (“Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Dante, Inferno, Canto III; vv. 58-60 ), permettendo l’ascesa di Bonifacio VIII. Per nove anni Pietro da Morrone stette qui in quasi totale isolamento con alcuni discepoli, lasciando l’eremo di San Bartolomeo diventato troppo accessibile ai fedeli.

L’eremo era originariamente una grotta, poi allargata e adattata all’uso abitativo. In sostanza è una cavità sospesa sulla parete rocciosa, dove si riconoscono alcuni ambienti e nicchie, e dove c’è un sistema idrico per convogliare l’acqua piovana in una cisterna.
Quando raggiungiamo il luogo, ci accoglie un cartello che ci avvisa che l’accesso all’eremo è da farsi a nostro rischio e pericolo: non è sicuro perché è formato da una scala, ricavata nella pietra, molto esposta, che prosegue con un sottile camminamento. Sotto c’è un salto nel vuoto di molti metri. Il camminamento termina con un restringimento e per oltrepassarlo e raggiungere l’eremo bisogna appiattirsi a terra e strisciare per gli ultimi 3 metri, con il vuoto alla propria destra. Per questo l’eremo è molto suggestivo.
Non essendo abituata a situazioni simili, solo dopo alcuni tentativi ho preso coraggio, e soprattutto solo dopo aver visto la tecnica per vincere l’ostacolo osservando un escursionista cimentarsi nell’impresa.
Eremo di Santo Spirito.
Il secondo eremo sul nostro cammino è quello di Santo Spirito (a circa 1130 mt).
La struttura (raggiungibile in auto da Roccamorice) ci accoglie a mezza costa, appena usciti dalla faggeta, lungo il fianco dell’omonimo vallone ed è una sorpresa. Ha una strada di accesso alberata e un sagrato antistante illuminato dal sole che invita alla sosta ed è una delizia architettonica. Prima residenza stabile di papa Celestino V, fu fondato nel 1244, ed è composto da più corpi di fabbrica che sfruttano anfratti nella roccia.


Incontriamo alcuni giovanissimi religiosi in visita, di cui notiamo le snickers e il taglio di capelli alla moda e, disorientati dal nostro vecchio immaginario, non possiamo non chiederci come debba essere scegliere una vita monastica nel terzo millennio.
Italiani, popolo di santi… ma chi sono gli eremiti?
Uomini e donne che si ritirano in solitudine, digiuno e preghiera, nel deserto o tra le montagne, vivendo all’aperto o in una grotta, appartengono alla storia di ogni religione e filosofia.
Si stimano circa 200 eremiti attualmente in Italia, donne e uomini.
Nell’epoca della connessione continua, c’è quindi chi, per convincimento religioso o ricerca spirituale, sceglie di vivere in solitudine, isolandosi in meditazione. Non necessariamente gli eremiti scelgono luoghi deserti e ostili, perché esiste anche un eremitaggio urbano o domestico.
L’eremitismo ha inizio tra il III e IV secolo dopo Cristo, e sfocia nel monachesimo. Gli eremiti erano perlopiù religiosi che fuggivano al Mondo, appartandosi in luoghi solitari per vivere di ciò che la natura offriva loro. San Martino di Tours fra il 356 e il 360 vive in un eremo alla Gallinara nei pressi di Albenga, mentre il poeta Rutilio Namaziano nel De reditu suo (I, 439-446) descrive gli eremiti che incontra sull’isola di Capraia in Toscana come uomini che fuggono la luce chiedendosi: “Ma che specie di furiosa pazzia e di stoltezza – che può far presa solo in cervelli stravolti –, non essere capaci di accogliere le cose buone per paura di possibili mali!».
Gli eremiti, insomma, tipi strani.
Non a caso Egon Schiele, artista austriaco tra i massimi esponenti dell’espressionismo viennese agli inizi del ‘900 (300 dipinti e 3000 opere su carta per un artista che muore a soli 28 anni), si dipinge in un autoritratto come eremita, insieme a Klimt, suo padre spirituale. Soggettività, ricerca spirituale, alienazione e solitudine umana sono negli autoritratti di Schiele, dove l’anima parla.

Entrare in un antico eremo provoca in noi domande spontanee e sensazioni che hanno qualcosa di ancestrale.
Difficile non immedesimarsi in chi su quella nuda pietra ha dormito lunghi inverni, difficile non chiedersi come fosse possibile sopravvivere, quasi impossibile è immaginare i pensieri dell’eremita, o figurarsi la sua quotidianità.
Di sicuro l’eremita era sostenuto da seguaci, ma questo non toglie nulla alla nostra percezione di quale forza (o, altrimenti, pazzia) lo animasse. Come accade ai visionari a cui la vita dà e toglie molto (ai Van Gogh e ai Ligabue…), gli eremiti sono individui non comuni, mossi da un convincimento granitico e da una forza d’animo invincibile. Viene spontaneo provare a stendersi dove l’eremita dormiva o, viceversa, se ne ha timore. Ci si convince che una qualche chiacchiera con Dio individui simili dovettero farla per forza, magari una partita a scacchi, da buoni amici…
Chi pensa all’eremita si figura innanzitutto un uomo anziano, con barba bianca e capelli lunghi. Il saggio per definizione. L’iconografia mediterranea richiama quella del druido nordica, confluita nell’immaginario fantasy. Come il druido, ritirato in solitudine nelle foreste e custode della natura e dei suoi segreti, è legato al divino e al magico, così è l’eremita.
Alle nostre latitudini l’Eremita è anche la nona carta degli Arcani Maggiori dei Tarocchi. Altri suoi nomi sono: il Vecchio, il Vegliardo, il Saggio, Diogene, l’Osservatore. Ha lo sguardo rivolto verso destra, verso l’avvenire. Avanza con prudenza e lentezza, la sua lanterna lo qualifica come guida spirituale, che procede con umiltà, trovando la via.
Anche noi la cerchiamo e proseguiamo con lentezza e costanza verso la prossima tappa.

Eremo di San Bartolomeo in Legio.
Il nostro trekking in Maiella ci sta riservando scorci davvero particolari. É la volta dell’eremo di San Bartolomeo in Legio, nel comune di Roccamorice. Individuarlo da lontano è un gioco visivo, perché lo si scorge, facendoci trasalire, come fosse un animale aggrappato ad un costone di rocce tra le altre che delimitano il vallone.

Ci avviciniamo ipnotizzati da questa immagine, mettendo a fuoco l’eremo mano a mano che scendiamo per il sentiero che porta al vallone. Raggiungiamo la costruzione salendo dal basso, oltrepassando il torrente. Anteriore all’XI secolo, l’eremo fu restaurato intorno al 1250 da Pietro da Morrone che vi dimorò per due anni e si compone di una cappella e due vani. Suggestivo il camminamento che passa sotto lo strapiombo di roccia e che ci riporta sul sentiero verso Macchie di Coco.

Al ristorante Macchie di Coco siamo subito rifocillati accomodati sotto il portico. Non so se siamo diventati più saggi, più asceti, più umili e prudenti, di sicuro siamo più stanchi! Anche oggi non ci siamo fatti mancare nulla: abbiamo percorso circa 19,5 km, dislivello ca. +800 -1850. Difficoltà EE.
Dalla valle dell’Orfento alla vetta del Monte Amaro.
Siamo al terzo giorno del nostro trekking sulla Maiella e abbiamo bisogno di fare una tappa defaticante. Raggiungiamo a piedi la frazione di Decontra, dove riprendiamo l’automobile. Facciamo riposare i piedi esausti e arriviamo in auto a Caramanico Terme.
La tappa di oggi prevede un’escursione lungo il fiume Orfento.

L’orfento scorre per 15 chilometri e si butta nel fiume Orta. Fa parte della riserva naturale Valle dell’Orfento I e II.
L’escursione è un’immersione totale nel bosco lungo un percorso raggiungibile in pochi passi dal Centro Visita della Valle dell’Orfento, dove ci si registra gratuitamente per avere accesso in autonomia al parco e dove c’è anche il Museo Naturalistico e Archelogico. Da qui si può partire prenotando anche una escursione guidata. Il sentiero è adatto a tutti.
La sera, in auto, raggiungiamo il rifugio Pomilio sulla Maielletta a 1888 mt, che è un accogliente rifugio montano del CAI dove ceniamo ottimamente. L’indomani ci aspetta la salita al Monte Amaro.
Salita al Monte Amaro: ammirare l’alba raggiungendo la vetta.
Lasciamo il Rifugio Pomilio e, per il primo tratto, siamo su asfalto lungo l’itinerario “Indro Montanelli”, chiuso ai veicoli, che arriva nelle vicinanze dei ruderi del Blockhaus, una delle cime della Majella, cioè un altopiano alto 2142 mt. s.l.m.. Il termine è tedesco, vuol dire “Casa di roccia” e identificava i fortini militari che l’esercito italiano costruì per contrastare il brigantaggio post-unitario. I ruderi presenti sono di una costruzione del 1863-64.
Da qui ci si immette sul lungo crinale di Scrima Cavallo, in mezzo ad arbusti e a rocce carsiche incise con scritte riconducibili a pastori e briganti della fine dell’800, detta Tavola dei Briganti.
Aumentando la quota, il panorama assume colori diversi e la pietra diventa protagonista. Attraversiamo una serie di saliscendi detti “i tre portoni” passando per Cima Pomilio, fino a giungere al pianoro ai piedi della salita per il Monte Amaro. Un’escursionista che sta scendendo ci avvisa che pernottare al bivacco Pelino è impossibile, per via che il bivacco è in brutte condizioni e ci consiglia il Rifugio Manzini, che si trova nel pianoro, facendo una deviazione di più di mezz’ora. Raggiunti il Terzo Portone, un sentiero va verso sinistra e attraversa la Valle Cannella per codurci al rifugio.




Dopo tanta fatica, siamo grati di raggiungere la costruzione e di riuscire a entrare. Un gruppo di escursionisti, dopo il nostro arrivo, si ferma al Manzini e, per fortuna, prosegue per la vetta, lasciandoci liberi di scegliere il giaciglio per la notte!
Abbiamo percorso circa 13 km, dislivello ca. +1300. Difficoltà EE.
L’alba dal Manzini è bellissima e subito ci mettiamo in cammino per salire al Monte Amaro che ci accoglie con la struttura a cupola del Bivacco Pelino (2793 mt.). Soddisfatti di noi, riprendiamo la strada del rientro al Pomilio nel quinto e ultimo giorno del nostro trekking sulla Maiella (15 km circa), e poi, a valle, verso il mare.

Lascio la montagna con un pensiero: rifugio, eremo, capanno, casa. Hanno tutti qualcosa in comune, sono luoghi dove ripararsi, scaldarsi, appartarsi, rifocillarsi, riposare. La montagna insegna quanto mai il valore di preservare il corpo e la preziosità dello spirito perché ci mette di fronte alla vulnerabilità. Così ci ricorda quanto vale per noi la “casa”. E ci accomuna ai meravigliosi animali che, veloci e silenziosi, attraversano un panorama di erba e rocce illuminate dal mattino.

Di cosa parla questo post:
Lascia un commento