Il buono, il brutto, il cattivo… gusto.

Ovvero: consigli semiseri per fare bella la propria casa

Le “cose di pessimo gusto”, che decisamente non fanno bella la casa, non sono poi molte: riconoscerle, per evitarle, è semplice.

Di cosa parla questo post:

Un buon inizio per realizzare una casa che rimane bella nel tempo.

Una casa bella: finestra di palazzo signorile a Bologna
Finestra di palazzo signorile a Bologna.

Rimanere con il naso all’insù è il miglior regalo che possiamo farci. Cosa voglio dire? Che la bellezza che osserviamo e ammiriamo intorno a noi ci fa emozionare e stupire.

Lei prorompe nell’architettura storica decorata come un merletto, ma anche in un grappolo di tetti raccolti intorno a un campanile. Non a caso, sono sempre più frequenti le ristrutturazioni e cambio d’uso di vecchie scuole, foresterie, monasteri, collegi, addirittura di cappelle sconsacrate. Lo sono per il valore estetico di queste architetture, il loro fascino.

Anche la nostra casa deve essere bella e donarci benessere. Se ci orientiamo ad una scelta (semplice e minima) di bellezza (non di lusso, non solo di comfort) difficilmente ci stuferemo della nostra casa. E questo è buono.

Ma, quindi, qual è la via della bellezza? A cosa appigliarsi per essere sicuri di realizzare una bella casa?

Questa è una domanda da un milione di dollari. Tuttavia, faccio mie alcune buone pratiche di carattere generale:

  • Eliminare le tossine, il disturbo di fondo, tutto ciò che è fuori contesto. (Diverso è, invece, un bilanciato e studiato mix di antico e moderno).
  • Rimanere aderenti a noi stessi, cioè pensare ambienti a misura d’uomo. Il comfort o il “lusso” non passano per soggiorni che sembrano piazze d’armi.
  • Se si sta ristrutturando, rinunciare alla tentazione di snaturare l’architettura esistente, rompendo un delicato equilibrio di forma e volume, ma innovare rispettando i codici tradizionali: affidarsi a ciò che di bello già c’è.
  • Rinunciare ad inserire materiali che nulla hanno in comune con il contesto esistente (evitare “l’effetto Las Vegas”, cioè ciò che è artefatto, non naturale, posticcio)
  • Rispettare lo skyline del contesto in cui l’immobile si trova. Mantenere il senso di armonia globale che unisce costruzione umana a paesaggio naturale.
  • Curare le piante presenti nel contesto e, in generale, arricchire la struttura di verde, prediligendo piante autoctone (evitando di impiantare specie esotiche o provenienti da altre latitudini).

Più di tutto, serve affidarsi a professionisti del settore. E se si fa da soli, il risultato a cui aspirare dovrebbe essere un senso di appagamento duraturo, di armonia, organicità e famigliarità.

Castellina in Chianti: skyline del paese
Castellina in Chianti in provincia di Siena: skyline del paese. La toscana ha una forte tradizione di tutela del territorio e dell’architettura.

La mia casa è brutta?

Le scelte estetiche personali sono personali, e come tali vanno rispettate, tuttavia in questo spazio esprimo liberamente un’opinione e gli amanti degli infissi in alluminio anodizzato (il cui inventore, non a caso, vaga per l’ultimo girone dell’inferno nel film Harry a pezzi di Woody Allen del 1997) potranno offendersi senza disturbarmi il sonno.

Erano gli anni Novanta. Oggi la scienza dei materiali è in continuo fermento e abbiamo a disposizione rivestimenti, mobili e finiture con una qualità estetica elevata che viene, per così dire, “normalizzata” e standardizzata su modelli che sono alla portata di tutti. Il brutto, cioè, è stato sconfitto! O quasi.

Che cosa, di preciso, rende una casa “brutta”?

Vediamo…

• le “cattedrali nel deserto”
• l’asfalto che arriva fin sulla porta di casa
• il non finito
• il fuori scala rispetto alle costruzioni limitrofe
• le tinteggiature “creative” fai da te
• le siepi di plastica e i fiori finti in vaso
• le finte boiserie
• la chincaglieria e la paccottiglia
• il copridivano?

Va da sé che la paccottiglia (“merce dozzinale di scarsissimo valore”) non fa la casa bella, mentre più nebuloso appare il significato di chincaglieria. Dalla Treccani: “chincaglie, ninnoli, oggetti minuti, di scarso valore […] e spesso di cattivo gusto, usati soprattutto per la decorazione di mobili, l’arredamento di stanze ecc.”.
In questa categoria compaiono i cosiddetti “ciapa puer” (dal dialetto piemontese i “prendipolvere”), detto di soprammobili e suppellettili inutili la cui unica funzione è quella di impolverarsi.

Ma che cos’è il cattivo gusto?

Farsi un’idea di che cosa sia il cattivo gusto non è facile, spesso è identificato con il kitsch. Anche il kitsch, però, sfugge alle definizioni che cambiano in base alle epoche, alle sensibilità, alla letteratura e alla critica d’arte. Talvolta il kitsch interseca l’eclettismo esasperato e a basso costo.
Nel cercare di farsi un’immagine di che cosa sia questo famigerato cattivo gusto si cita, d’obbligo, la famosa lirica “L’amica di nonna Speranza”, tratta da I colloqui (1911) di Guido Gozzano. Nel poemetto gli oggetti del salotto sono “le buone cose di pessimo gusto”…

• “il caminetto un po’ tetro”
• “il gran lampadario vetusto che pende a mezzo al salone” (Se vetusto. Se invece è di design, pensiamoci…)
• “le scatole senza confetti”
• “le sedie parate a damasco chermisi” ovvero le sedie in stoffa damascata (e che dire delle tovaglie…)
• “le stampe” e “gli acquerelli un po’ scialbi” (il terreno, qui, è molto insidioso)

Sono cose di un lontano stile di vita piccolo borghese. Cose “fuori moda”, pesanti alla vista. Insomma, lo dice Gozzano, poco belle.

Il bello possibile: preferire il genuino all’artefatto.

L’estetica è una disciplina filosofica ma è anche la capacità di ognuno di noi di riconoscere il bello e utilizzarlo. Si tratta di entrare in empatia con una certa parte di mondo. E, un po’ come avviene nell’apprendimento della musica, una certa predisposizione facilita l’impresa. Cosa che fa di molti individui degli artisti, dei fotografi o dei designer.

Ma se per capire la bellezza serve un training, cosa servirà per riconoscere la bruttezza?

La questione pare complessa. Filosofi e artisti hanno sempre definito il bello attraverso i secoli, ma così non è avvenuto per il brutto.
Per trovare un suggerimento possibile alla comprensione della bruttezza e, nello specifico, del cattivo gusto, ci viene in aiuto il volume “Storia della bruttezza” a cura di Umberto Eco (Bompiani 2007) dove si legge: “La cultura “alta” definisce kitsch i nanetti da giardino, le immaginette devozionali, i falsi canali veneziani del casino di Las Vegas, il falso grottesco del celebre Madonna Inn californiano che intende fornire un’esperienza “estetica” eccezionale al turista”. Eco, cioè, pone l’accento sul “falso” come veicolo di cattivo gusto. E come elemento di dubbia utilità per il turista!

Ecco tracciata una personale via per la bellezza: preferire ciò che è genuino all’artefatto, conservare l’originale, rifiutare il posticcio.

Perchè ciò che è “vero” è bello e porta con sé un senso di eternità.

Il cattivo gusto della finta Venezia a Las Vegas
Il cattivo gusto del falso. La finta Venezia a Las Vegas. Foto: Tayssir Kadamany/Pexels.
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Commenti

2 risposte a “Il buono, il brutto, il cattivo… gusto.”

  1. Avatar maria angela onofri
    maria angela onofri

    Ciao Silvia, la descrizione di artefatto, falso si addice proprio anche a questa epoca della comunicazione dove trovare l’originale, la verità diventa sempre più complicato. grazie e buona giornata

    1. …uno spunto di riflessione molto complesso. Grazie del tuo commento 🙂

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