Recuperare l’architettura rurale è anche andare alla scoperta delle forme tipiche delle case tradizionali, come quelle delle vecchie cascine “di Langa”.

Di cosa parla questo post:
- Le vecchie cascine delle Langhe: le tipologie tradizionali
- Norme per rispettare l’architettura originale
- La pietra sui tetti
Le vecchie cascine delle Langhe: le tipologie tradizionali.
Andare alla scoperta delle diverse tipologie edilizie rurali è interessante soprattutto perchè le case tradizionali sono fortemente connaturate al territorio che le ospita e la nostra penisola ha una varietà di paesaggi enorme.
Troviamo, infatti, le cascine al nord, i casali nel centro, le masserie al sud dove le pietre naturali, i mattoni e l’intonaco caratterizzano forme e funzioni delle abitazioni tipiche della nostra tradizione.
La scoperta dell’edilizia della tradizione è un viaggio infinito, perchè le tipologie più tipiche assumono sfumature e caratteristiche proprie ad ogni cortile!
Ogni regione ha le sue case tipiche, ma di sicuro le vecchie case di campagna, ovunque si trovino, sono accomunate da:
- muri spessi,
- robuste travi in legno a sostegno dei tetti,
- uso dei mattoni e del cotto locale,
- uso della pietra per i muri e per i pavimenti,
- coperture in coppi o pietra.
Inoltre: esterni adorni di piante locali, fiori e rampicanti, siepi e piante ad alto fusto, vite e ulivo a seconda della latitudine, acciottolati contro il ghiaccio o il fango e pergolati per ombreggiare. Tutto ciò rende impareggiabile un soggiorno nella nostra bella penisola!

Nelle Langhe, zona estesa di colline del basso piemonte compresa grosso modo tra i fiumi Tanaro, Belbo, Bòrmida di Millesimo e Bòrmida di Spigno, si individuano case rurali secondo alcune tipologie ricorrenti. Stiamo parlando di un terriorio molto vasto, che sta in un perimetro di 200 km ed è suddiviso in tre dorsali principali: Langhe centrali, occidentali e orientali.

La forma e la suddivisione degli spazi delle vecchie case tradizionali erano condizionate da vari fattori: la minore o maggiore pendenza del terreno, il tipo di lavoro che i contadini facevano e i mezzi che avevano a disposizione per lavorare, le condizioni economiche delle famiglie e la presenza o meno di più famiglie riunite nella stessa casa.
Non solo, ma anche l’esposizione ai venti o al sole e la presenza di acqua raggiungibile con facilità determinavano la forma e la funzione della casa. Vento e sole servivano per essiccare il granoturco sui ballatoi e l’aia era sempre esposta a sud.
Principali tipologie edilizie delle case tradizionali delle Langhe.
Considerando la pianta dell’edificio, ma anche i fabbricati vicini e l’uso a cui erano destinati, si trovano:
- cascine a forma di C
- cascine a forma di L
- cascine a pianta semplice, longitudinale, cioè “in linea”.
- fabbricati di servizio come: fienili, casotti, stalle, pozzi, forni.
Questi ultimi erano per lo più costruiti in pietra a secco, come anche i muri di sostegno per terrazzare il terreno e renderlo comodo alla coltivazione o all’impianto di filari.
Gli edifici a forma di C erano più frequenti in zone pianeggianti e avevano il cortile interno chiuso sul lato libero da un muro.
Gli edifici a L (a cui va la mia preferenza essendo nata in alta Langa, dove erano più diffusi) si disponevano in base al miglior irraggiamento dell’aia.

In Alta Langa (cioè nelle zone sopra i 600 mt di altitudine, che arrivano ad un picco di quasi 900 mt) le cascine erano più piccole e spartane e i raccolti più magri e faticosi. Nella “Bassa Langa” i fienili erano più ampi, come maggiore era il numero di stanze. In entrambi i casi cucina e stalla si trovavano al piano terra, camere e fienile al primo piano dove era presente un ballatoio, spesso costituito da archi in pietra o mattoni.

Le cascine isolate, cioè disposte su un asse longitudinale di solito erano più piccole, poste sulla cima della collina e ben esposte al sole. Costituite da un corpo unico con casa, stalla, fienile e cantina, erano di solito a due piani e con tetto a capanna a due falde. Una differente altezza poteva indicare lo stacco tra casa e fienile, separati da muri tagliafuoco. Spesso la facciata principale era intonacata, anche se la struttura era in pietra.
Nelle cascine a L i fienili erano al primo piano, mentre in quelle “in linea” rimanevano separati dalla casa e affacciati sull’aia. Avevano grandi aperture per consentire il passaggio d’aria, travoni in legno a separare piano terra e primo piano e, talvolta, muri grigliati in mattoni.
Architettura di servizio: pozzi e forni.
A ridosso delle cascine c’erano poi i pozzi e i forni.
Il forno aveva una volta interna in mattoni e base in pietra, con tetto in legno ricoperto da coppi. Spesso la copertura era in lastre di pietra piane e sottili.
I pozzi avevano pianta quadrata o circolare, con tetto talvolta a forma di cono e copertura in “lose” (o “ciape”) di pietra. Il pozzo era sempre chiuso da una porta in legno con chiavistello. Per questo motivo, nella ristrutturazione di un pozzo delle Langhe non è bene inserire griglie o inferriate estranee all’uso originale, bensì bisogna mantenere il sistema di chiusura esistente.

Norme per rispettare l’architettura originale.
Come recuperare queste strutture rimanendo fedeli all’originale?
Le linee guida principali da tenere a mente quando si ristruttura una casa tradizionale (in ogni caso e per ogni tipologia) sono:
• non variare il rapporto dell’edificio con il terreno
• non variare la forma dell’edificio
• non fare ampliamenti alla casa, utilizzare caso mai i fienili per ricavare zone abitabili
• non cambiare la geometria del tetto presente. Spesso la copertura del “lato corto” della L è formata da un prolungamento di una falda del tetto che va assolutamente mantenuta.
• non fare sopraelevazioni
• se le aperture dei fienili devono essere chiuse, è fondamentale che rimanga chiara la cesura tra antico e nuovo intervento che deve comunque armonizzarsi in modo sobrio, non essere invasivo. Soprattutto deve essere sempre comprensibile qual era la funzione originale (fienile in questo caso).
• non aggiungere scale esterne in facciata
• non aggiungere porticati o altri elementi non esistenti in origine
• conservare i dettagli, i decori, le finiture di cornicioni, comignoli, architravi ecc.
Recuperare questi elementi, laddove si può, anche quando gli ambienti vengono riprogettati per nuove destinazioni e nuove esigenze, come quelle ad esempio di destinare una vecchia cascina ad agriturismo o bed & breakfast, è un’opera preziosa non solo per gli occhi.

La pietra sui tetti.
La pietra di Langa non era solo utilizzata per l’innalzamento dei muri, ma anche per le coperture dei tetti, i cosidetti tetti in “ciàpe”. Caratteristica comune anche nelle zone alpine.
L’architettura, infatti, da sempre è compatibile con le risorse disponibili di un territorio e con le condizioni che l’ambiente impone. Pensiamo alle difficoltà di costruire in zone impervie, dove ancora oggi è difficile arrivare con mezzi di trasporto e dove tutti gli spostamenti venivano fatti a piedi e con il mulo. In questi territori, appunto, spesso le case avevano i tetti in pietra, recuperata quindi in loco (ma anche in paglia).
Ma come erano costruiti i tetti?
Il tetto era tipicamente a due falde (o spioventi), talvolta a un solo spiovente, sorretto da una struttura portante in travi di legno, soprattutto rovere e castagno, e copertura in lastre di pietra scistose.
Cosa vuol dire scistosa? Che si tratta di una roccia sfaldabile, i cui componenti minerali sono disposti in fibre o lamelle. Queste pietre tipiche sono lastre (o lose) di arenaria dette “ciappe” o “ciape”, di forma irregolare, disposte su più strati e rese stabili dal loro stesso peso.
La pendenza del tetto non doveva essere molta per evitare che, a causa delle copiose nevicate di un tempo, la neve sciogliendosi le facesse scivolare.
Una caratteristica di questi tetti è che la falda sporge poco rispetto alla grondaia, quasi per nulla. Inoltre, la struttura lignea interna doveva essere davvero molto massiccia.
La ristrutturazione del tetto tradizionale richiede l’intervento di isolamento termico e questo lo si può fare inserendo il materiale isolante sotto le falde, senza rimuovere la copertura, purché questa sia bene impermeabilizzata e non ci siano lastre sconnesse o rotte. In ogni caso, la riparazione deve avvenire in modo sartoriale, utilizzando lo stesso tipo di materiale, meglio se pietre già esistenti in loco, magari provenienti da altri edifici demoliti.

Trovare chi sa ancora recuperare, riparare o riprodurre questo tipo di tetto è molto difficile, anche perché in ogni luogo la tecnica e l’aspetto possono avere caratteristiche proprie, ma riuscirci è una sfida che premia perché si tratta di un saper fare che, forse, non sarà disperso.
Le raccomandazioni tecniche contenute nel post sono tratte dalla lettura della “Guida al recupero dell’architettura rurale del G.A.L.”. Blu edizioni 2006). www.langheroeroleader.it
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